Proponiamo una sintesi, per qualche ulteriore riflessione in merito, del secondo incontro del ciclo “Perché vivo a Napoli. Dialoghi per chi resta”, svoltosi al PAN mercoledì 26 febbraio 2014, con la partecipazione dello scienziato Andrea Ballabio e del filosofo Aldo Masullo,
a cura di Marinella Pomarici
Devono essere in molti a porsi sempre più insistentemente la domanda “Perché vivo a Napoli” se sono accorsi in tantissimi al PAN per il secondo incontro dei “Dialoghi per chi resta” promosso dall’Associazione: sala piena anche nel grande spazio del terzo piano, tanti in piedi dentro e fuori, seguendo con grande attenzione il dibattito.
Gli ospiti erano lo scienziato Andrea Ballabio e il filosofo Aldo Masullo, che hanno risposto alle sollecitazioni di Andrea Renzi e Diego Guida. Ha aperto il confronto Emilia Leonetti, presidente di Vivoanapoli, che ha introdotto il tema della serata con la domanda: “come si può avere cura della nostra città e quindi di noi stessi?”
Andrea Ballabio ha iniziato a raccontare la sua esperienza: è ritornato a Napoli dopo aver trascorso molti anni all’estero, prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, presso il Centro genoma umano del Baylor College of Medicine di Houston. Nel 1994 è rientrato in Italia per fondare, con un incarico avuto dalla Fondazione Telethon, l’Istituto di genetica e medicina (Tigem), che dirige tuttora ma è anche professore ordinario di Genetica medica presso il dipartimento di Pediatria dell’Università “Federico II” di Napoli.
E’ ritornato a Napoli dunque per dirigere un centro internazionale di eccellenza con ricercatori anche napoletani ma soprattutto stranieri, spagnoli, americani, giapponesi, ecc… dove vige la regola – il prof. Ballabio lo sottolinea più volte nel corso della serata -meritocratica: gli studiosi vengono incaricate di progetti di ricerca sulla base di una selezione squisitamente meritocratica. Il professore aggiunge con chiarezza che, se non riuscisse più a seguire questi criteri, andrebbe via.
Aldo Masullo, filosofo ben noto a Napoli e non solo e molto amato, ha ricordato i suoi primi anni di vita a Torino con i genitori, la mancanza di calore ed il distacco dei suoi compagni, ed il calore, invece, da cui venne investito quando si trasferì a Nola.
A Napoli, a differenza che al nord, predomina il contatto, il toccarsi. Ciò che però da noi avviene è un incesto tra due significati, noi confondiamo il calore con la familiarità e la familiarità può essere intesa in due modi, vivere in intimità, stare con l’altro come con se stessi ma anche purtroppo in un senso deteriore, nel senso del familismo, dell’amicizia pelosa. Ed è proprio qui che sta la differenza per Masullo tra il nord ed il sud, lì il conquistare posizione grazie alle amicizie avveniva e avviene nelle classi dirigenti, un tempo almeno, però nella piccola e media borghesia c’era un grande rispetto per il merito e per il lavoro, invece da noi il familismo è stato sempre il contrassegno di tutte le classi sociali.
Andrea Renzi, riflettendo sull’esistenza di molte isole di eccellenza a Napoli ed in Campania, si chiede e chiede al prof. Ballabio se un istituto-isola può essere così autonomo dalla pubblica amministrazione.
“Vivo la città come un arcipelago –dice il prof Ballabio – ed io vado sulle isole, gettiamo però anche tanti ponti, alcuni vanno a buon fine altri no, ad esempio la ristrutturazione del nuovo centro Tigem a Pozzuoli si sta realizzando grazie ad un finanziamento PON regionale”. Ricorda però che il Centro funziona grazie a finanziamenti stranieri (ultimamente una casa farmaceutica statunitense vi ha investito 22 milioni di dollari) e precisamente per il solo 4% si avvale di finanziamenti pubblici: il 20% arriva dalla raccolta Telethon, mentre il 76% arriva da investitori stranieri.
Inoltre, replicando a Masullo, fa notare che, per quanto riguarda i criteri meritocratici, questi non si seguono a Napoli ma nemmeno a Siena ed a Milano, il male è tutto italiano. A Napoli poi sicuramente la pervasività della delinquenza allontana gli investimenti.
A questo punto interviene Emilia Leonetti con una certa veemenza, ponendo ai due ospiti una domanda, per poter cercare davvero di capire che cosa si può fare per vivere a Napoli con minor disagio e minore infelicità e richiamando le parole dette da Maurizio de Giovanni nel primo dialogo.
“Ma voi che cosa potete fare per restituire alla città quello che Napoli pure vi ha dato negli anni della vostra formazione?”
Andrea Ballabio ha fatto notare che l’Istituto dà lavoro a 200 ragazzi anche napoletani e che lui pensa che si può incidere sulla realtà, anche esterna al suo centro di eccellenza, facendo bene il proprio lavoro. Inoltre la collaborazione tra il Tigem e l’Università Federico II può essere un modo di cambiare le cose: l’esempio virtuoso della meritocrazia forse potrebbe cambiare anche il mondo dell’Università.
Certo, ammette di essersi preoccupato in primo luogo del successo del suo progetto più che di incidere sulla realtà napoletana. Tuttavia, quasi a voler sottolineare la sua partecipazione attiva alla vita della città, ricorda di quella volta in cui, avvalendosi in un certo senso della sua autorevolezza, ha scritto una lettera al Il Mattino, in occasione di un ingorgo mostruoso a Mergellina di cui lui era stato vittima insieme a tanti altri automobilisti, a causa della collocazione impropria di un’aiuola da parte del Comune di Napoli. Alla sua protesta si sono uniti tanti cittadini ed alla fine l’aiuola è stata rimossa.
Masullo raccomanda però di non farsi abbagliare dal modello Ballabio, perché a Napoli dopotutto non sono pochi i centri di eccellenza: “quando le ricerche sono utili i capitali si trovano”. Questo certo è l’esempio di come ci si debba impegnare ma a Napoli non è questo il problema. A Napoli dopo 20 anni si ritorna a parlare di dissesto, c’è un vero e proprio sistema di passività. Come allora affrontare il problema della modificazione della realtà della nostra città? “Io devo fare in modo che si modifichino le circostanze per cui si riesca ad obbligare i cittadini a fare quello che devono fare; certo, io ricomincio da me, ma questo è un argomento morale, dal punto di vista civile e politico è argomento debole”.
Andrea Ballabio è convinto che il napoletano non abbia fiducia in se stesso, né crede di poter modificare alcunché, mentre al di fuori di Napoli sembra avere il fuoco dentro ed è capace di impegnarsi con successo più di tanti altri.
Masullo ribadisce che il problema è il sistema, il carattere improvvisatorio delle decisioni dei nostri governanti. Dominante è la cultura del “pressappoco” che, come sa Ballabio, si oppone all’universo della precisione. Certamente ci sono delle ragioni sociali, Napoli è gonfia di tante passività, di un’enorme massa di problemi mai risolti ma anche di masse di disperati.
I napoletani hanno un particolare rapporto con il tempo: “amiamo la lentezza”. Ma sul piano dell’organizzazione civile la lentezza significa la morte. “Non abbiamo ancora l’idea dell’uomo che può modificare la natura e quindi disciplinare se stesso. Nessuno di noi si deve fare supplente ma devo organizzarmi e battermi perché le cose si modifichino. Bisogna rompere il circolo vizioso, bisogna ribellarsi – dice Masullo – dobbiamo mobilitarci su singoli punti”.
L’ora tarda ha permesso solo pochi interventi del pubblico, tra cui quello di un signore trentino che, dopo aver vissuto la sua vita professionale al nord, ha deciso di venire a Napoli a trascorrere gli anni della pensione. Ha raccontato di vivere al Vomero e di aver proposto agli abitanti della sua strada, piena di buche e sporca, di impegnarsi a risanarne cento metri per mostrare appunto che modificare la realtà non è impossibile, proprio partendo da singoli punti.
Ed alla fine è questo il messaggio che viene raccolto da Emilia Leonetti come lavoro proprio dell’associazione: unirsi in piccoli gruppi per lavorare e mobilitarsi su singoli punti.