Pubblicato su “Il Corriere del Mezzogiorno” il giorno 1 luglio 2022
Emilia Leonetti – presidente Vivoanapoli
La cultura, l’insieme degli elementi materiali e immateriali che rappresentano il nostro patrimonio, la nostra storia, il nostro presente, la nostra identità, può essere l’infrastruttura sulla quale definire un piano strategico per Napoli e l’area metropolitana. Su cui definire il nostro futuro. È una scelta che va assunta da chi governa e che dovrebbe nascere dalla consapevolezza della forza e del potere dirompente che un piano incentrato sulla cultura ha sulla trasformazione di un territorio.
Sia dal punto di vista urbanistico che della crescita di una coscienza civile. È una visione di medio-lungo periodo da definire e da condividere con i vari livelli istituzionali, con gli stakeholder del territorio, in una logica integrata con le diverse vocazioni della città e della sua area metropolitana.
Si tratta di inserirsi sul solco già tracciato dalla rete «Città Creative 2004» che rientra a pieno titolo nell’Agenda Europea 2030 per lo sviluppo sostenibile. Perché la cultura e la creatività sono considerate strategiche per uno sviluppo rispettoso dell’ambiente e della qualità della vita delle città in cui la pianificazione e gli obiettivi siano costruiti su queste direttrici.
Ed è bene ricordare che tra le città italiane «creative» Napoli non figura, mentre figurano Torino, Bologna, Roma. Così come non figura Napoli tra le venti città italiane in cui il sistema produttivo della cultura e dell’impresa creativa genera un valore aggiunto significativo sull’economia, favorendo l’aumento dell’occupazione e innovando in campi attigui (turismo) o che si alimentano di un clima culturale diffuso e dai contenuti innovativi (rapporto Fondazione Symbola 2021).
Aggiungo che le ricadute di un piano strategico della cultura si avrebbero a livello identitario ( senso diradicamento e appartenenza al territorio, alla sua storia, al suo valore) e di coesione sociale.
La domanda è: perché qui non avviene? Perché gli innumerevoli mondi che possono essere ricondotti nell’alveo della creatività (cinema, teatro, design, comunicazione, artigianato, editoria…) non riescono a influenzare i decisori politici per puntare sulla cultura e sull’immenso patrimonio, nella loro più ampia accezione, come asset/driver principali di sviluppo? Parafrasando Paolo Perulli (Nel 2050, Passaggio al Nuovo Mondo): perché i creativi non affiancano le élite del potere e a Napoli ben 18% è classe creativa contro il 10% della media nazionale.
A Napoli si concentra una fetta importante di uomini e donne che immaginano, che pensano e agiscono in maniera avanzata, nuova senza incidere sul potere di chi governa, senzainfluenzarne le scelte. A Napoli, forse, manca il senso del comune destino, manca la presenza di una coscienza civile che come scriveva nel 1989 Paolo Sylos Labini è condizione per lo sviluppo economico «senza sviluppo civile – scriveva nel suo discorso all’Accademia Nazionale dei Lincei – non c’è sviluppo economico».
È chiaro che è compito primario delle Istituzioni locali decidere la visione, l’idea di città che si intende realizzare da qui ai prossimi 10-20 anni, ma, questa è la mia tesi, è un compito che può essere svolto anche da chi opera nel campo della cultura e dell’industria creativa. Si tratta di superare le divisioni e i particolarismi, di costruire alleanze, percorsi condivisi, obiettivi comuni per dare forza e sostanza alla città nuova.
Un processo che, a mio parere, potrebbe partire dal basso, da chi opera nei teatri, nei musei, nelle accademie, nelle scuole, da chi lavora nel campo delle imprese creative. Un percorso bottom-up che richiede anch’esso visione, programmazione, metodo, reti, obiettivi chiari e condivisibili, la conoscenza dell’ambiente di riferimento, la consapevolezza delle risorse e delle competenze di cui si dispone e la capacità di attingere a reti di relazioni per acquisire le risorse e le competenze di cui non si dispone.
Napoli potrebbe diventare un laboratorio dove sperimentare un nuovo metodo di pianificazione dello sviluppo in cui la cultura sia l’elemento su cui e intorno a cui definire la città e la sua area metropolitana. Uno spazio/laboratorio in cuiriunire e far convergere le forze del cambiamento e che potrebbe diventare
l’interlocutore primario delle Istituzioni, Comune e Città Metropolitana innanzitutto. Ma questa si sa è un’utopia.