di Giulio Maggiore
Ieri, verso ora di pranzo, mi trovavo a Mergellina per una passeggiata sul lungomare. L’improvvisa esplosione della primavera, tanto attesa dopo un marzo particolarmente piovoso, aveva indotto molti napoletani a fare lo stesso e gli scogli si andavano riempiendo di gioventù spensierata. Qualcuno azzardava anche un timido tuffo a mare.
Poche nuvole movimentavano il cielo, mentre il mare era percorso da vele bianche stranamente numerose. Poi, da dietro il molo sono spuntate quelle colorate delle imbarcazioni della Coppa America, che agitavano in punta i vessilli delle loro nazioni.
Siamo rimasti ad ammirare lo spettacolo, quasi sorpresi da quel ballo di vele variopinte che pure i giornali annunciavano da giorni. Per un momento tutte le polemiche erano alle nostre spalle. La Coppa America cessava di essere lo spunto per mille contestazioni per tornare ad essere un semplice meraviglioso evento di sport.
E pure Napoli sembrava riconquistare un nuovo respiro. Anche le strade rotte, il bilancio in dissesto, gli autobus senza assicurazioni, i rifiuti ammassati nei vicoli, le rapine a mano armata e tutto il resto erano alle nostre spalle. Davanti a noi il cielo, il mare e quelle barche leggere come libellule che sembravano accarezzare l’acqua.
Un momento perfetto, come solo questa città sa offrirne, quando si ha la fortuna di poter volgere lo sguardo verso l’orizzonte che si stende fra Il Vesuvio e Capo Posillipo. Uno di quei momenti che ti spingono a restare. E a lottare per cambiare le cose. Perché questa bellezza non merita di essere abbandonata.
Vivo a Napoli. E per qualche ora riesco anche a esserne fiero.